Introduzione e sintesi commentata da
HEGEL
Frammenti sulla filosofia dello spirito
(Jena, 1803-1804)Di Hegel ho di gran lunga preferito questo testo, agli altri in cui l'esposizione della filosofia dello spirito, in particolare riguardo il ruolo della singola coscienza e il suo articolarsi nella società civile, si fa ordinata, burocratica, più simile a un testo di legge, che a un'esposizione filosofica aperta al confronto, e, se necessario- e possibile, all'equivoco.
Non è infatti di verdi pianure circondate da vette, che si compone il territorio più fecondo per il pensiero; filosofare è un po', piuttosto, avventurarsi fra pieghe e crepe. Orografia tracciata da una mano malferma...
Qui Hegel, ai suoi primi- non primissimi- azzardi sistematici, progetta, senza precisarla, quella filosofia dello spirito che in questi frammenti rimane del tutto priva del momento che poi diventerà fondamentale in assoluto: il momento dello Stato come passaggio propedeutico per la realizzazione dello Spirito assoluto.
Qui siamo di fronte piuttosto a tuttE le crepe di una unità spirituale di cui è nota l'idealità, ma non la realtà; realtà dell'Uno che in questi frammenti appare ancora come l'elemento di contrasto, rispetto a cui tutta la molteplice fenomelogia delle figure dello spirito può prendere vita, e carne.Le sintesi e i commenti di questi frammenti si riferiscono all'edizione italiana degli stessi, in "Hegel- Filosofia dello spirito Jenese", traduzione a cura di G.Cantillo, Laterza, 1984.
Siamo di fronte al passaggio dalla filosofia della natura alla filosofia dello spirito, che avviene attraverso il riferimento all’uomo e alla sua realtà “spirituale”: quest’ultima si delinea in primo luogo come “coscienza”. Nello spirito infatti l’etere- l’elemento eternamente mobile e incorruttibile-nella sua assoluta semplicità-ovvero immediatezza- ritorna in sè stesso attraverso l’infinità della terra, in cui si è negato come natura.Nella terra, e più precisamente nella coscienza umana, pur nel diffondersi infinito dell’Idea si consolida come singolarità e ha sviluppo in più momenti l’esser-uno, la conciliazione per ora solo immediata di etere e infinità(della terra).
Questo concetto dello spirito, determinato come questa assoluta semplicità di etere e infinità (cielo e terra), questo immediato esser-uno, è la coscienza; in essa l’infinità esiste come vera infinità, cioè come infinità che vive nel concetto e il cui opposto è l’assoluta semplicità e immediatezza di etere e infinità.All’infinità della terra, in cui ogni momento è il semplice contrario di sè stesso, si contrappone
quindi nella coscienza l’immediato ed infinito concetto (dello spirito); e la coscienza stessa è il semplice contrario di sè stessa, il semplice movimento di opposizioni non mediate: essa infatti l’una volta è l’opposto ad un esser-altro di cui solo è cosciente, ma che si pone come puramente esteriore e opposto, e l’atra volta è l’assoluto esser-uno di ogni distinzione, cioè l’unità delle opposizioni e della
sintesi in cui esse sono superate.
Qui si ritrova una sintetica esposizione della struttura del sistema hegeliano, dove soprattutto è delineato il rapporto della filosofia dello spirito con le altre parti della teorizzazione di Hegel.E’ detto
innanzitutto che la prima parte della filosofia “costruisce”(la logica infatti per H. non è mera osservazione o rispecchiamento, ma è operazione di costruzione che muove dal soggetto il quale vuole
essere consapevole dell’assolutezza di cui partecipa non potendo farne esperienza diretta e contemplativa)lo spirito come idea, pervenendo all’auto-eguaglianza assoluta di identità e altro dall’identità, cioè all’idea come sostanza dialettica assoluta, ovvero soggetto in cui l’essere è compreso come inquietudine, ovvero divenire, processo, spirito. Esso infatti nell’infinito movimento negativo assolutamente è, in quanto assolutamente diviene.Questa idea poi nella filosofia della natura si frantuma, e l’essere in quanto etere si separa dal divenire in quanto infinità (della terra e dei molteplici enti singolari e finiti)esteriore, rispetto alla quale l’esser-uno di entrambi, cioè lo spirito, continua a vivere come il nascosto, l’assolutamente interiore.Esso però riemerge già nella singolarità dell’organico, in quanto organizzazione delle parti: in essa l’esser-uno si presenta però ancora come uno numerico, cioè come individualità che non si relaziona ancora con l’intero di cui pure è parte.Nella filosofia dello spirito, infine, l’esser-uno di etere e infinità, di essere e divenire esiste in quanto riconoscentesi nella sua assoluta universalità, negando cioè la singolarità attraverso coscienza, linguaggio, lavoro, valori, totalità politiche etc..In essa lo spirito è considerato e ha vita come ciò che è
reale e razionale, ovvero come ciò che assolutamente diviene l’assolutamente esser-uno.
In questo frammento è considerata la prima forma dell’esistenza dello spirito, cioè la coscienza in quanto essa è il concetto dello spirito nel suo farsi totalità autocosciente di sè: la sua esistenza puramente teoretica, insomma, che sarà poi oggetto di studio nella parte del sistema denominata “spirito soggettivo”. In quanto concetto dello spirito la vita della coscienza si articola in opposizioni di concetti assolutamente universali: rispetto ad essi la coscienza si pone innanzitutto come potenza formale, nel senso che le opposizioni in essa suscitate si risolvono tutte nell’assoluta universalità della loro stessa forma, non intaccati quindi al loro interno ma che si superano reciprocamente solo nella loro forma, e al di fuori della universalità di questa ancora sussistono come concetti differenti.L’opposizione quindi è determinata dalla coscienza da un lato come assoluta vuotezza
formale del concetto, che è assolutamente per sè in tal senso, e dall’altro lato come assoluta materia.La coscienza attraverso la memoria, il linguaggio da essa prodotto e l’intelletto diviene così il
semplice, assoluto e universale concetto considerato nella vuotezza formale propria dell’astrazione assoluta, che solo in tal senso è in grado di togliere la differenza fra i suoi termini materiali; termina così il processo teoretico, che ha la sua negazione dialettica nel processo pratico attraverso cui la coscienza diviene una totalità dell’essere, giungendo al suo compimento acquistando un esistenza reale
e un dominio reale sulla natura opposti all’esistenza e al dominio ideale precedente: in questo modo essa si costituisce come spirito che è per sè e si è dato una propria figura.Nel processo pratico essa si scinde nuovamente in sè stessa e si realizza innanzitutto nella differenza dei sessi da cui scaturisce la prima totalità singolare che è la famiglia quale durevole medio esteriore; di qui poi la coscienza passa alla sua esistenza assoluta, cioè esce dall’individualità e si relazione con la totalità di cui è parte: è il momento dell’eticità.
I due momenti- costituzione ideale della coscienza in quanto ragione formale ovvero interiorità singolare e costituzione reale della coscienza come famiglia e pienezza esteriore dei singoli sono solo, tuttavia, i momenti ancora ideali della vita dello spirito nella sua condotta negativa verso la natura, quando cioè esso rimane nella finitezza e nella unità singolare dell’uno numerico- l’individuo- per superare la frantumazione prodotta dalla cattiva infinità della natura.Essendo per sè libero, infatti, lo spirito riemerso innanzitutto nell’organismo umano come coscienza si dà nella sua interezza e raggiunge la piena autocoscienza solo come essenza etica, cioè come organizzazione unitaria di un popolo in cui esso manifesta la sua natura assoluta.
Nel sistema filosofico hegeliano questo frammento può essere inquadrato all’interno dello “spirito oggettivo”, nel passaggio dalla “famiglia” alla “società civile”.La famiglia infatti è una totalità, la
prima, in cui la singolarità si realizza; ma essa si dissolve nel momento in cui il singolo si ritrova isolato di fronte ad altre singole coscienze, e si oggettiva nel lavoro e nel possesso, innanzitutto.Per oggettivarsi nel possesso, però, il singolo deve negare tutto ciò che è altro da sè per realizzarsi in quell’oggetto nella propria pienezza, ovvero in quanto totalità.Nasce da qui la lotta per il riconoscimento, che in questa prima analisi che H.ne fa ha uno sbocco pessimistico e quasi paradossale: in sostanza, la coscienza non può che ledere l’altro fino a rischiare la propria stessa esistenza, per essere riconosciuta interamente; e tuttavia esponendosi nella propria interezza essa stessa si toglie, si nega di fronte all’altro da sè.Il singolo è infatti una coscienza solo in quanto pone ogni momento come sè stesso, sì che la violazione di una sola delle sue singolarità debba essere considerata un’offesa assoluta, e lo scontro con l’altro uno scontro, in ogni caso, di due totalità: solo
così può esservi realmente riconoscimento dell’altro come assoluta singolarità.I due individui dunque sono tali, in questa lotta, che: a)ognuno appare all’altrui coscienza come interamente escludente
l’altro;b)ciascuno in questo escludere è realmente totalità.La relazione fra i due individui, che non può che avere natura pratica, perchè lo scontro è qui fra essenti reali e non ideali, implica quindi un’offesa
necessaria, perchè vi sia rapporto, e quest’offesa è tanto più significativa perchè si verifica nel campo delle cose possedute; l’uno nega così nell’altro qualcosa che questi considerava rientrante nella propria pienezza di sè, e l’altro reagisce affermandola come propria, negando così l’estensione della totalità nemica: ognuno nega insomma la totalità dell’altro e il reciproco riconoscimento si configura, tutt’al
più, come relazione puramente negativa tra due totalità che si negano nell’interezza volgendosi l’una alla morte dell’altra, ma esponendosi così anche alla propria morte.Per essere riconosciuto come totalità della singolarità, quindi, ciascuna coscienza in questa lotta non ha altra strada che negarsi come esistenza, esponendosi alla possibilità della morte; se egli infatti si arrestasse al di qua della morte, si mostrerebbe all’altro come non-totalità e quindi ne verrebbe asservito; se però uno dei duellanti realmente muore, ovviamente, viene meno il fondamento stesso del riconoscimento, ossia la lotta.
Questo riconoscimento dei singoli, per Hegel, è quindi una contraddizione assoluta: il riconoscimento infatti è l’essere della coscienza come totalità in un’altra coscienza, ma per divenire reale ogni coscienza deve escludere tutte le altre, confinandole nel ruolo di non-totalità a lui asservite. Dovendo però la coscienza necessariamente essere riconosciutà per essere come uno numerico, essa può solo
volgersi alla realtà della morte: la sua è quella della totalità che le si contrappone, rapportandosi ad essa; essa può infatti essere solo negandosi, cioè ponendosi già come totalità singola tolta.Questo
essere dell’essere-tolto della totalità singola è la totalità in quanto assolutamente universale, ovvero in quanto spirito assoluto, coscienza assolutamente reale che nel suo sussistere è sempre disposta alla
morte, avendo rinunciato a sè stessa, essendosi, appunto, tolta.Solo così essa può essere riconosciuta: nella totalità assoluta che la coscienza diviene così come coscienza degli altri(in quanto essa sia
coscienza di sè come esser-tolto) la singolarità è assoluta singolarità e infinità e l’essenza dello spirito è di porre assolutamente come uno essere, togliere e essere in quanto esser-tolto, poichè la totalità singola è, da questo momento in poi, solo perchè le altre totalità singole sono poste nel loro esser-tolte.Il divenire-riconosciuta è quindi l’unica esistenza possibile per la coscienza, che però esiste solo come coscienza tolta, per raggiungere il riconoscimento, ossia come coscienza che ha rinunciato ad esistere necessariamente e si è aperta alla possibilità della morte.Questa coscienza assoluta è dunque un esser-tolto delle coscienze in quanto singole: in essa i singoli non sono più ma parla e vive la sostanza assoluta, lo spirito di un popolo per la quale la coscienza singola è solo forma, che diviene a sè immediatamente come eticità assoluta: il singolo ha infatti come essenza la vivente sostanza dell’eticità universale, di cui la coscienza singola è solo una forma ideale.L’essere dell’eticità sono
infine i costumi di un popolo.
Abbiamo appena visto come le coscienze singole giungono al riconoscimento comune in una sostanza assoluta e universale che è lo spirito assoluto di un popolo, il quale diviene a sè come eticità assoluta;
esso è l’etere che ha assunto in sè tutte le coscienze singole, l’assoluta, immediata, unica sostanza vivente ed è sostanza attiva che media tutti gli opposti ma anche l’uno negativo di questi opposti; esso deve diventare eternamente sè stesso in quanto opera, in quanto continuo togliere sè stesso e divenire-a-sè-altro nell’esteriore frutto dell’operare del popolo attivo: questa loro opera è infatti il loro stesso spirito, in cui è tolto sia l’attivo che il passivo, la cui opposizione ha vita in esso come l’assolutamente dileguante.L’opera etica di questo popolo è quindi l’essere vivente dello spirito universale, ovvero dell’ideale essere-uno dei singoli nello spirito inteso come negativo infinito, il cui
primo momento è la sua opera negativa, consistente nel volgersi contro la sua natura inorganica, la quale però non è la natura come essere-altro dello spirito, ma la famiglia in quanto totalità assoluta
della coscienza singolare, ovvero negativo esser-posto della natura, spirito solo differente da sè e che deve esser-tolto per realizzarsi in una totalità assoluta che rifletta la sua universalità: la famiglia è quindi la natura ancora inorganica dello spirito, ancora fuori cioè dall’eticità assoluta del popolo.
A)Tutte le potenze ideali hanno la loro esistenza solo nel popolo: fra queste il linguaggio, che è, in quanto opera di un popolo l’esistenza ideale dello spirito, la forma immediata in cui si rende esteriore
ciò che nascostamente già si è prodotto nella coscienza assoluta del popolo, l’immediato divenire della sua interiorità, l’idealità della natura inorganica che divenendo organica trova la realtà per l’idealità del
linguaggio; la coscienza resta quindi l’attività costante di riferimento del linguaggio all’essere, che ne toglie l’esteriorità sicchè esso diventi totalità ovvero concetto.
B)Altrettanto nel popolo hanno vita lavoro e possesso.Il lavoro si volge innanzitutto al singolo per soddisfare i suoi bisogni, ma diventa così un lavoro universale.Esso Infatti è lavoro del singolo, e tuttavia questi, per soddisfare i suoi bisogni, deve rientrare in un modo-anche se esteriroe,
dell’universalità, ovvero deve apprendere un’abilità universale e razionale: così il suo lavoro può avere un riconoscimento, che si completa nell’universale organizzazione del lavoro in cui il singolo
realizza sè stesso.Il singolo infatti attraverso l’abilità universale da lui appresa e resa singolare inventa un altro universale, un bene universale; il lavoro del singolo per i suoi bisogni è quindi lavoro
universale, ideale, perchè l’oggetto da lui prodotto diventa sempre altro da quello che è, è cioè diviene un universale, e il suo lavoro lavoro formale e astrattamente universale, sicchè la soddisfazione dei
bisogni del singolo è lavoro di tutti; il lavoro di ognuno è , per il suo contenuto, lavoro universale per i bisogni di tutti, e cioè ha un valore, per la cui realizzazione tutti dipendono da tutti.La divisione del
lavoro, ovvero l’introduzione delle macchine, non fa per Hegel che diminuire questo valore e accrescere la dipendenza e l’universalità del lavoro, universalità che però si rende formale, astratta, immediata. La divisione del lavoro accresce infatti la quantità prodotta, svilendone il valore; il lavoro diventa così sempre più specialistico in senso degradante per i lavoratori; la connessione del singolo lavoro con la totalità dei bisogni diventa sempre più astratta e inafferrabile, ovvero diventa una cieca dipendenza del singolo dalla totalità dei lavoratori; l’astrazione del lavoro-valore ha poi il suo rispecchiamento e mezzo di espressione che è il denaro in quanto forma dell’unità di tutte le cose
prodotte per il bisogno, in quanto concetto materiale che completa la formalità del lavoro.
C)Questa attività del lavorare ha poi il suo lato quieto nel possesso, che nella sua singolarità pure diviene, nella totalità di un popolo, possesso universale, cioè posto come possesso del singolo nella coscienza universale e assoluta del popolo: esso cioè ha vita nel popolo in quanto proprietà, ovvero in quanto rapporto assoluto dell’uno che oppone il suo diritto a tutti rendendoli però partecipi, in questo modo, del suo possesso escludente; nella coscienza la cosa viene così ad essere posta come possesso singolo eppure universale, sià pure nel modo dell’escludere: in quanto proprietà infatti essa è universale. Questa proprietà, come il lavoro, si divide: la divisione infatti è porre il concreto nell’universale, sicchè esso abbia vita;nella misura poi in cui si divide la totalità del singolo come coscienza e l’esteriore in cui essa si esprimeva come totalità il singolo cessa di avere l’onore in quanto
orgoglio che poneva l’intera essenza del singolo in ogni singola cosa, e si rende possibile il suo riconoscimento all’interno del popolo come organizzazione in cui il singolo è visto come persona e la cosa appare come universale proprietà del singolo.
Siamo ormai di fronte all’articolarsi della società civile.
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